Da “L'humanisme marxiste”
(Marsiglia, Esil, 1936) - Parte III, capitolo 2°
“La libertà è a tal punto
essenziale per l'uomo che persino coloro che l'avversano sono
costretti a conseguirla nel medesimo tempo in cui ne combattono la
realtà.” (Marx, “Dibattiti della Dieta renana”, 1841).
Gli individui isolati costituiscono una
classe soltanto nella misura in cui essi debbono condurre una lotta
comune contro una altra classe. Una classe oppressa è la condizione
indispensabile di ogni società fondata sull'antagonismo delle
classi. Perché una classe sia per eccellenza la classe
dell'emancipazione, bisogna per contrasto che un'altra classe sia la
classe della palese servitù. E' questo il caso della borghesia di
fronte al proletariato. Il proletariato può e deve rendersi libero
da solo: ma non potrà mai farlo senza sopprimere le condizioni della
sua esistenza attuale. E queste condizioni esso le sopprimerà
soltanto abolendo d'un colpo tutte le condizioni disumane di vita
della società di oggi. I lavoratori “risentono in modo doloroso il
divario tra l'essere e il pensiero, tra la coscienza e la vita. Essi
sanno che la proprietà, il capitale, il denaro, il lavoro salariato,
e così via, non sono affatto chimere ideologiche, ma prodotti molto
reali, e concreti, della loro alienazione, e che bisogna sopprimerli
in maniera reale e concreta, affinché l'uomo cessi di essere uomo
solamente nel pensiero e nella coscienza, e lo diventi nella sua
qualità di elemento della massa e di essere vivente (Marx, Engels,
“La sacra famiglia”, 1844).
E' l'inesorabile forza delle cose, è
la necessità che genera e determina tanto la solidarietà di una
classe quanto la direzione dei suoi sforzi nella lotta sociale: “non
si tratta di sapere ciò che il tale od il talaltro proletario, od
anche tutto il proletariato, si pone provvisoriamente come scopo; si
tratta di sapere ciò che esso è realmente e ciò che sarà
costretto storicamente a fare in modo conforme alla sua natura.”
(Ibidem) Ma per l'appunto la concezione dialettica di questa natura
implica un atto di coscienza, e quindi l'esperienza di questa libertà
totale, dove l'uomo ritrovi se stesso come scopo unico delle forze
che egli sviluppa. Poiché, come diceva Hegel: “ Ciò che ci fa
sentire la fame e la sete come una privazione od una costrizione, è
l'impulso che ci spinge a liberarci di questa privazione e ci rende
capaci di riuscirvi. Si prova il dolore, e provarlo è privilegio di
una natura sensibile; lo si prova come una negazione all'interno del
proprio 'io' e ci si sente oppressi da questo limite proprio perché
sentire significa avere il sentimento del proprio 'io' che è
totalità e che oltrepassa dunque tutti i limiti stabiliti”.
(Hegel, “Scienza e logica”, prima parte.)
una classe sociale, così come un
individuo, non potrebbe avere piena coscienza dell'oppressione che
subisce, se nel fondo di questa coscienza non ci fosse la nozione (ed
il bisogno irresistibile) della libertà. Questa libertà totale
dell'uomo è la condizione preliminare della coscienza di classe del
proletariato, e per questa ragione il fine ultimo della lotta di
classe condotta dal proletariato oltrepassa in un certo senso i
limiti della classe per identificarsi con la completa espansione
dell'uomo in una società definitivamente egualitaria.
Tutta la difficoltà per l'uomo
oppresso di oggi, per il lavoratore, che il capitalismo vuol far
diventare “una semplice macchina che produce la ricchezza altrui,
un essere sfinito fisicamente e incretinito spiritualmente” (Marx,
“Salario, prezzo e profitto”, 1865), consiste nel concepire
veramente la libertà come valore che oltrepassa i limiti di una
determinata classe, e nel non svisare o ridurre la portata
dell'azione emancipatrice. Lo scopo immediato, cioè “costituire il
proletariato in classe, rovesciare lo stato borghese, far conquistare
ai lavoratori il potere politico” può essere raggiunto solo se non
si perde mai di vista che “alla società borghese, con le sue
classi ed i suoi antagonismi di classe, dovrà essere sostituita una
associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno sarà la
condizione del libero sviluppo di tutti” (Marx, Engels, “Manifesto
dei comunisti” , 1848).
La rivoluzione che compie il
proletariato si distingue essenzialmente dalle rivoluzioni
precedenti, in cui si spezzava la supremazia di una classe solo per
permettere a nuovi strati sociali di stabilire il loro predominio
sulle altre classi.
“Se il proletariato trionfa, ciò non
significa assolutamente che sia diventato la forma assoluta della
società, poiché trionfa soltanto nella misura in cui si sopprime
contemporaneamente al suo contrario: la proprietà privata” (Marx,
Engels, La sacra famiglia”, 1844). Poiché “la condizione di
libertà della classe lavoratrice è l'abolizione di ogni classe”
(Marx, “Miseria della filosofia”, 1847).
Che altro significa ciò, se non che il
classismo rivoluzionario postula la volontà di distruggere le
condizioni grazie a cui sono possibili le classi? Che altro significa
ciò, se non che il proletariato lotta proprio per sopprimere le
ragioni che rendono inevitabile e necessaria questa lotta?
L'incapacità degli pseudo-marxisti di
comprendere il valore assoluto della libertà, per cui il
proletariato combatte, porta con sé anche l'incapacità di
riconoscere che la lotta di classe proletaria non è una lotta di
classe come quelle che l'hanno preceduta.
Gli obiettivi che la storia ha posto
dinanzi al proletariato sono immensi, in virtù del significato
universale che fin dall'inizio è loro inerente: “con questa
formazione si conclude la preistoria della società umana”. Se la
borghesia ha realizzato le sue aspirazioni (nel 1830 in francia, nel
1832 in Inghilterra) accentuando il suo egoismo di classe e riducendo
l'ideale “emancipazione dell'uomo”, alla difesa di interessi
privati, il proletariato deve, invece, identificare sempre di più la
coscienza di classe con la “totalità umana”, a mano a mano che
“la storia cammina e la lotta si delinea più nettamente”. Alla
borghesia, per emanciparsi, bastava solo diventare la classe
dominante, rovesciando il suo opposto, il regime feudale.
L'emancipazione del proletariato è soggetta a tutt'altra condizione.
Non basta al proletariato ergersi a classe dominante, né rovesciare
il suo contrario, la borghesia. Bisogna che crei per tutti gli uomini
una sociatà umana.
Ogni ideale proletario deve innestarsi
su di una realtà di classe, ma allo stesso tempo impregnarsi di una
realtà che oltrepassa i limiti di ogni classe. Bisogna che in
qualche modo il proletariato sappia “anticipare” in se stesso
l'uomo libero di domani, l'uomo di una società, in cui “i
produttori regoleranno razionalmente lo scambio materiale secondo
natura e lo sottoporranno al loro controllo collettivo, invece di
essere dominati da lui come da un potere cieco”.
Questa fusione della coscienza di
classe sviluppata al suo più alto grado con la più assoluta e più
universale cognizione dei “valori umani”, è il paradosso dello
slancio rivoluzionario; è anche la pietra di inciampo per molti
dottrinari della lotta di classe. L'antinomia può risolversi
solamente con la visione esatta di una realtà umana, i cui rapporti
di classe nella società attuale offrono soltanto l'immagine mutilata
o “l'alienazione”. Il proletariato non deve abbassare la realtà
umana a livello delle sue esigenze di classe, ma bisogna che allarghi
le aspirazioni della sua classe fino a conglobarvi tutta la realtà
umana. Questo umanismo integrale del proletariato, di cui l'idea di
libertà è l'espressione cosciente, appare così come l'elemento
essenziale e il fondamento della nostra coscienza di classe.
Proprio perché la libertà è il
motivo dominante ed è la condizione indispensabile della coscienza
di classe che agita il proletariato, Marx ha potuto considerare
l'emancipazione politica come la forma più alta di emancipazione nel
quadro attuale della società.
Fino a che il proletariato non è
ancora così evoluto da costituirsi in classe, e le forze produttive
non si sono ancora tanto sviluppate in seno alla società borghese da
lasciare intravedere le condizioni materiali necessarie alla libertà
del salariato, la lotta del “lavoro” contro la “proprietà”
non può avere un carattere politico: gli oppressi non vedono che
miseria nella miseria, senza attingere dalla coscienza di questa
miseria una forza sovvertitrice che capovolgerà l'ordine sociale
divenuto insopportabile. L'emancipazione politica segna dunque la
tappa in cui la formazione di una vera coscienza di classe diventa
possibile e determina l'azione organizzata del proletariato. Senza
dubbio, i lavoratori salariati costituiscono già “materialmente”
una classe nelle officine e nei campi, ma senza un ambiente politico
che permetta agli sfruttati di abbracciare in una visione d'insieme e
di sottoporre, per così dire, ad un “libero esame” la situazione
in cui si trovano collettivamente, in rapporto alle altre classi ed
alle istituzioni sociali. L'esistenza in quanto classe non si
accompagna con una coscienza attiva, né, di conseguenza, con una
capacità di sviluppo rigeneratore. Il proletariato non acquista
questa capacità che sul terreno politico, e solo la democrazia gli
dà accesso a tale terreno.
Ma la democrazia non è solo condizione
preliminare della coscienza di classe; una connessione ben più
profonda si rivela fra questi due fenomeni, non appena si esaminino
gli effetticoncreti delle libertà politiche. Certo, la libertà che
assicura la costituzione democratica – libertà di coscienza, di
parola, di stampa, di riunione, di associazione, ecc. - è una
libertà di un certo tipo comune e non la libertà morale e materiale
che si incarna nell'individualità concreta e originale. Nella sua
qualità di “libertà giuridica” essa implica necessariamente
elementi di quantità e di generalità caratteristici nel campo del
diritto. Tuttavia, precisamente nella salvaguardia di questa libertà
quantitativa, la libertà materiale e qualitativa della singolarità
concreta può espandersi nel modo più intenso: essa è sempre in
potenza all'interno delle libertà giuridiche. Del resto, in regime
democratico, non soltanto i diversi individui, ma raggruppamenti di
qualità distinte si vedono conferire uguali franchigie. Questo
metodo di organizzazione per raggruppamenti liberi, che moltiplica
gli aspetti della democrazia annettendovi anche organismi non
politici (sindacati, cooperative, associazioni culturali, ecc.),
permette di introdurre certi elementi di singolarità individuale, di
“umanità reale”, anche nella costituzione della libertà
giuridica. Poiché la base suprema, il principio fondamentale della
democrazia, è “la varietà nell'unità” e “l'unità nella
varietà”. Ed è anche questo il principio di ogni umanismo.
Si dirà, per esempio, che la libertà
di pensiero non è che una libertà politica o, peggio ancora, una
“libertà borghese”? Ma, se la borghesia – al tempo in cui era
una classe rivoluzionaria – l'ha inserita fra i “diritti
dell'uomo”, significa che in effetti nessuna emancipazione umana è
concepibile senza libertà di pensiero. Ed ora che la borghesia è la
classe che si oppone alla liberazione dell'uomo, rinnega la libertà
di pensiero, come del resto tutta la sostanza delle libertà
democratiche.
Se oggi la libertà di stampa è una
lusinga, per non dire una ignobile menzogna, è perché il gioco
delle potenze economiche impedisce alla maggioranza del popolo, e in
particolare alla classe operaia, di far uso di questo diritto, benché
non sia formalmente abrogato. Per il proletariato, appena sarà
vittorioso, non si tratta dunque di sopprimere la libertà di stampa,
ma di sopprimere gli ostacoli che rendevano inoperante tale libertà.
E sarà la stessa cosa per tutte le altre libertà garantite dalle
istituzioni democratiche. Non dimentichiamo questo passo del
“Manifesto dei Comunisti”: “Abbiamo già visto che l'ultima
tappa della rivoluzione proletaria è la costituzione di del
proletariato in classe dominante, la conquista delle democrazia”.
Nella libertà politica c'è dunque un
contenuto umano che non solo non può essere abolito, ma che si
tratta di portare al suo pieno sviluppo. Tutti i malintesi su tale
questione derivano dal fatto che ci si compiace di confondere la
libertà prigioniera con le catene che la riducono all'impotenza.
Tutto il contenuto umano della democrazia politica è alterato da
quel fatto politico che è la dominazione di una classe sulle altre.
Ma questo contenuto, che noi chiameremo “autonomia dell'essere
umano”, non è meno vero, e non può esser fatto scomparire entro i
limiti di una classe sociale. Diciamo dunque che tutta l'umanità è
deformata dalle classi che si ergono l'una contro l'altra, ma che
queste classi, per la loro stessa esistenza, presuppongono una realtà
umana. Oggi gli uomini possono pensare e agire soltanto da borghesi o
da proletari, ma nel proletario come nel borghese c'è “l'uomo
reale”, che si tratta di liberare dagli involucri di “classe”,
che ora lo soffocano, lo corrompono, lo mutilano.
La democrazia è un avviamento (e come
una “prefigurazione” in termini giuridici) di questa liberazione.
La coscienza di classe spinge il proletariato oppresso proprio a
questo atto liberatore. In tal senso, l'autonomia politica, nella
misura del contenuto umano che implica, si identifica con gli scopi
che il proletariato persegue nella lotta di classe. Egualmente,
autonomia politica e coscienza di classe sono concetti solidali.
Dunque è un errore grossolano criticare come borghese il contenuto
umano di queste libertà democratiche, di cui la stessa borghesia
riconosce il carattere non borghese, rinnegandole dopo la prima fase
della sua rivoluzione. Ogni classe, nel corso della sua storia,
risolve problemi rivoluzionari, e in questo senso ogni classe per un
certo periodo svolge un ruolo emancipatore. L'ultimo atto del dramma
è la lotta di classe in seno alla società attuale, che ha per
premio l'instaurazione della libertà integrale, coronamento di tutto
ciò che c'era di contenuto umano nelle precedenti lotte di classe.
Anche la borghesia ha svolto una parte,
anzi un'importantissima parte rivoluzionaria. Se ora la rinnega, ciò
avviene perché è in piena decadenza, perché ha perduto la propria
giustificazione davanti alla storia e all'umanità. Il criticare una
classe che decade non implica la critica del contenuto umano che
caratterizzava le origini e la missione rivoluzionaria di questa
classe. La morte della borghesia, trascinando con sé quella del
vecchio mondo, deve salvarne ciò che esso aveva di vitale, e che
potrà ora svilupparsi e dare i suoi frutti.
La borghesia rinnega l'universale umano
per salvare il particolare “borghese”. Che cosa dimostra questo?
Una classe il cui slancio rivoluzionario è infranto può tradire la
libertà; quella che le succede, la classe operaia, deve prendere la
fiaccola dalle mani vacillanti che la lasciano cadere e portarla più
lontano e più in alto.
Non si tratta dunque per la classe
operaia di completare la rovina della democrazia, implicita nella
continuazione del regime borghese, ma di difenderla e di servirsene
per assicurarle il suo pieno compimento.